Tutti i progetti che mirano a celebrare l’IO falliscono.
L’IO è contro natura, non è più tempo neanche per un tentativo. Falliscono, e col progetto fallisce anche l’autore. Se ci chiedessimo quante volte abbiamo fallito, ci risponderemmo “spesso”.
E quando non abbiamo fallito? E cosa soprattutto è sopravvissuto e vive ancora? Sopravvive ciò che nasce già vivo e non ciò che lo deve diventare. Vivo è tutto ciò che è espressione delle leggi del tempo che viviamo. Vivo è tutto ciò che è ineluttabile.
Quindi se il progetto mira a generare un sentimento di soddisfazione e moltiplicazione, figlie assolute di questo tempo, deve nascere nell’ottica della condivisione. La pulsione creante non può che animarsi, con naturalezza quasi istintiva, in uno stato mentale che contempli qualcosa che sia almeno un po’ più dell’IO. Anche solo un poco di più per iniziare. E sopravviverà.
Che si tratti del microcosmo aziendale o che sia una questione puramente personale, l’unione delle competenze, dell’esperienza e della forza accumulata nel tempo deve essere vivificata da un atto di concepimento decisamente impersonale e allora troverà un suo spazio per esistere.
O meglio: se lo creerà.
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